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13/06/2012, 07:40

UN AMICO VERO

di Joseph Rossetto

Tanti sono i giocatori con i quali ho giocato e alcuni di loro purtroppo non ci sono più; ma in questo episodio e in occasione della festa degli Old mi piace ricordarne uno in particolare, con il quale ho giocato per ben sedici anni fianco a fianco, dividendo gioie ed amarezze, botte e baldorie. Lui non c'è più, scomparso prematuramente alcuni anni fa, ma il mitico Carigna fa parte dei miei ricordi più belli, e vorrei tanto che la sua generosità, dentro e fuori al campo, fosse esempio per i tanti giovani che si avvicinano a questo sport.

Si chiamava Ignazio Carniel ma per tutti noi era Carigna, nome con il quale lui firmava in gioventù opere d'arte su tela da lui composte. Ora, è vero che un quadro può piacere o meno, perché la cosa è molto soggettiva, ma le sue opere, e spero che lui mi perdoni, facevano veramente cagare i morti; lui ci diceva che non capivamo niente, noi lo riempivamo di parole, ma tutto tornava come prima, e i suoi quadri, purtroppo, rimanevano esposti nella sua galleria privata. Il suo primo ruolo da giocatore fu trequarti centro, ma a volte giocava anche all'ala e, grazie alla sua robustezza e a una discreta velocità, procurava molti metri di vantaggio e molti danni agli avversari. Dopo alcuni anni e alcuni chili in più, passò nel ruolo di terza linea, per poi finire la sua carriera come pilone.

Giocatore coraggiosissimo, tosto, tignoso, leale, ma soprattutto generosissimo e placcatore eccezionale. Ricordo un suo placcaggio da trequarti centro su Ganzerla, giocatore famoso che giocava con il Venezia: giocavamo al Sant'Elena, il vecchio stadio del Venezia calcio, e Ganzerla faceva il figo con la palla in mano, essendo di una categoria infinitamente superiore avendo giocato anche nei Dogi: Carigna lo mise nel mirino e con un placcaggio da manuale samoano lo tranciò di brutto, accartocciandolo come una foglia secca. Ganzerla s'alzò dolorante e per il prosieguo del match dove c'era Carigna non c'era Ganzerla. Negli ultimi anni però il fiato e il fisico cominciarono a segnare il passo; così di conseguenza, a causa del cervello un po’ annebbiato, nel gioco a terra ne combinava di tutti i colori, era spesso in fuorigioco e naturalmente collezionava calci di punizione contro in quantità oceanica. Era maestro soprattutto nel partire con la palla in mano dopo un calcio di punizione accordatoci dall'arbitro, ovviamente senza avvisare i suoi compagni, per finire prima sepolto dagli avversari, poi dalle nostre peggiori ed irripetibili ingiurie.

In spogliatoio era spesso al centro dell'attenzione per degli slip sempre all'avanguardia: quelli tigrati resteranno nella memoria di tutti; aveva poi sempre con sé confezioni di bagnoschiuma e shampoo molto costosi, che venivano consumati regolarmente dai suoi compagni di squadra, in particolare Tamba e Zane. Era la nostra banca prestiti personale e quando mancavano soldi dopo una serata, magari in pizzeria, ce li metteva lui e la storia finiva lì, senza nessuna pretesa di restituzione. Adesso elencare tutto quello che ha combinato e che combinavamo assieme mi è molto difficile se non impossibile; così, molto sinteticamente, ve ne elenco molte, ma, ahimè, poche in confronto a tutte quelle che combinò e combinammo. Chi si ricorda quanto era attaccato alla sua Bibbia, ossia l'Unità? E quando guidava facendosi il pedicure con il piede sul cruscotto? Ripeto: quando guidava!! E i suoi sorpassi sulla Romea, quando passammo tra due Tir e la luce del sole sparì tanto erano vicini? E quando a Natale in Inghilterra eravamo ospiti del cognato di Peter e lui, immerso nella piscina all'aperto riscaldata, vomitò mezzo pranzo di Natale sul bordo dando la colpa a una foglia ingerita e non a una congestione dovuta a abbondanti libagioni? E quando si accoppiò in macchina con una cameriera dell’ex gelateria in piazza, alle tre del mattino e nel parcheggio poco distante della gelateria stessa?

Si cimentava pure come grande Chef: chi si ricorda la famosa pasta condita al ragù panna ed amaretti di Saronno cucinata in spogliatoio? E la pasta cucinata in quel di Feltre a casa di Tromba che lui definì “una specie di boscaiola”? Ci aveva messo, oltre a degli ingredienti super segreti, perfino del whisky... E i fagiani procurati dall'allora allenatore Claudio Zizola e cucinati da Carigna al club? Due erano cucinati secondo una sua ricetta, cioè in una salsa “civètte” mai sentita prima, dal sapore e dall’aspetto inquietante; l'altro cucinato al forno e servito praticamente crudo e sanguinante come una fiorentina. E guai a dirgli qualcosa: come al solito noi non capivamo un cazzo!! Come quella volta che cucinò per la festa del matrimonio di Giorgio Carbonera e sua moglie Donella nella mitica vecchia casa di Sandro: non siamo mai stati capaci di capire cos'era che avevamo mangiato: sembrava cucinato dal Mago di Oz. Un esempio su tutti: fece grigliare delle melanzane, le bruciò tutte perché si era distratto facendo le fusa a una tipa, grattò via in minima parte la parte bruciacchiata e ce le servì con una salsa, bruciata pure quella, dicendoci che così era la ricetta e come al solito noi non capivamo una beata mazza di nouvelle cuisine.

E i suoi zoccoli con su disegni di donne nude ed altre troiate? Da notare che non gli calzavano a meraviglia perché avendo egli il piede un po' tozzo, questi faceva fatica a entrare, anzi non entrava proprio. Di conseguenza Carigna girava come se niente fosse con due piedi gonfi e rossi, con pericolo di trombosi e con mezzo calcagno fuori dallo zoccolo stesso. E quella volta che partimmo alle nove di un giovedì sera per andare a Pesaro da Peter? Eravamo io, Carigna, Zuin e Cynar, mi sembra, e forse un altro, ma potrei sbagliarmi perché la memoria ogni tanto mi fa brutti scherzi: Zuin era convinto che fossimo diretti poco dopo San Donà per una pizza, ma quando vide che prendevamo la Romea mise a fuoco tutto e si rassegnò perché oramai eravamo in pista e bisognava ballare. Arrivammo a Pesaro poco dopo mezzanotte, infrangendo durante il tragitto più di cento articoli del Codice della Strada; mangiammo una pasta alquanto piccante e ci sciroppammo tre birre da mezzo, intervallate da racconti della scuola di windsurf che io e Peter avevamo in Gargano (altra storia da raccontare) ed altre storie varie. Baci e abbracci e ripartenza per casa verso le due e mezzo del mattino; altri cento articoli infranti durante il ritorno, con arrivo a Oderzo verso le 5.30, giusto giusto in tempo. Zuin infatti iniziava il turno alle sei, noi invece eravamo più fortunati perché potevamo dormire tranquillamente fino alle sette. Altri anni, altri fisici.

Lo chiamavamo anche Gatton perché quando puntava una ragazza era come dieci soriani in calore, e la malcapitata o cedeva il suo gaio cesto d'amore o non si faceva più vedere. Perse una scommessa con il sottoscritto riguardo a una donna: era novembre e lui disse che entro Natale se la sarebbe trombata senza se e senza ma; il compito era parecchio arduo e naturalmente perse la scommessa, che gli costò una cena al ristorante Revedin a base di crostacei ed altre prelibatezze della laguna veneta; il conto fu astronomico perché bevemmo l'inverosimile e Primo Minello bevette anche l'acqua con il limone che serviva per risciacquarti le mani, ma lui come al solito pagò senza un battito di ciglia. Poteva succedergli di tutto, sia in partita sia nella vita, ma la sue imprecazioni più blasfeme erano “Brutta bestia”, “Porca vacca” o, se era molto incazzato, poteva scappargli un sonoro “Boia porco”. La sua macchina era sempre a disposizione di tutti e aveva dentro di tutto, neanche fosse un bazar. E quella volta che dovevamo andare in montagna per farci alcuni rifugi e avevamo appuntamento in piazza alle 5.30? Era estate, e lo trovammo in piazza che ci aspettava dormendo in macchina ancora vestito da discoteca con in testa i brillantini; alla nostra domanda se veniva in montagna così conciato non rispose neanche, scese, aprì il portabagagli e, estratto un perfetto completo da scalatore, si cambiò con tutta la naturalezza possibile nella piazza cittadina. E quando, dopo la finale di Coppa Italia giocata e vinta a Este, uscì dallo spogliatoio con un abito bianco candido, camicia rossa e cravatta bianca, ovvero i nostri colori sociali? Dopo alcuni bicchieri di vino rosso, molti abbracci e conseguenti ruzzoloni nella polvere, il suo completo aveva talmente tante macchie da sembrare un leopardo.

Personaggio generoso, dicevo, e per quanto riguarda la sua generosità nel prestare soldi al bisognoso di turno lo era fin troppo; non diceva mai no a niente e a nessuno, anche se c'era da andare in capo al mondo, e sempre con la sua macchina. Non leggeva mai la sera o durante il tempo libero, sia che si trattasse di un libro o di un giornale: lo faceva semplicemente in macchina mentre correva. Il suo matrimonio fu epico perché ci presentammo tutti vestiti da Blues Brothers e a fine serata i gavettoni con i secchielli dello champagne furono infiniti. E le razzie negli Autogrill durante le trasferte? Entrava, faceva un giro e usciva con una camionata di refurtiva per tutti: aveva un debole per le scatole in latta di biscotti e cioccolatini, ma non guardava tanto al sottile e quello che capitava capitava. Per il matrimonio di Peter a Pesaro, si comprò una salopette alla moda pagandola 99 mila lire, e nel 1983 erano bei soldi, credetemi. La sera prima eravamo alloggiati in alcuni bungalow sulla spiaggia di Pesaro e verso mezzanotte Zane, visibilmente carico, li volle indossare per provarli: non contento e causa bibita, volle fare anche il bagno in mare con i pantaloni immacolati addosso. Il risultato fu scontato: al mattino Carigna si trovò con la salopette che man mano che si asciugava, metteva in risalto macchie di salsedine in quantità industriale; ma egli era troppo buono, borbottò un “Boia porco”, ed andò al matrimonio con i pantaloni pieni di salsedine come un peschereccio.

Cocciuto e testardo come un mulo, come quella volta che andò a Mosca (praticamente la sua Lourdes) tornando con la ferma convinzione d'aver imparato abbastanza il cirillico; la sua descrizione della metro di Mosca poi, poteva durare per sere e notti intere; si cimentava anche con il windsurf ed era pure bravino, ma era goffo da vedere come un orso che balla il Charleston. Andava al mare indossando il tanga, andava in giro con addosso collanine multicolori caraibiche, portava camicie con colori indefinibili, beveva il tè con latte e limone in contemporanea, dipingeva quadri orribili, cucinava come un mozzo russo cieco, prendeva parole un giorno sì e un giorno anche; se l'Unità gli diceva che bisognava radere al suolo un asilo nido lui lo faceva, era sordo come una campana, aveva un gatto di nome Munìn, al fratello piaceva molto il Campari e girava in ape car, comprava tutto l'inservibile possibile per poi regalarlo a chi glielo chiedeva, e tifava per la madre Russia anche quando la sua nazionale giocava a nascondino; ma noi gli volevamo un gran bene, perché impossibile era non volergliene. Potrei continuare per ore e sarei ancora all'inizio, perché lui era un pozzo d'inventiva, non perdeva un colpo e era sempre in prima linea pronto a tutto. A un certo punto della sua vita decise di mettere su famiglia e di calmarsi un attimino, così si fidanzò e dopo un non breve periodo convolò a nozze, che per noi furono, quelle sì, il matrimonio del secolo. Si sposò con Rita e ebbe due splendidi figli, Mirco e Gaia; cambiò lavoro, ma purtroppo le cose per lui peggiorarono a livello finanziario, ma se lo incontravi, era sempre gaudente e felice e non faceva trapelare minimamente la sua situazione. Morì il 12 Febbraio del 2005, dopo una breve ma implacabile malattia, e il suo vuoto tentò di riempirsi con fatica, ma non sarà mai colmo del tutto. Carigna era il fratello di tutti, l'amico di tutti e se c'era bisogno di buttare giù un muro a testate, il primo colpo lo dava lui.

Così io me lo ricordo... e così io me lo ricorderò per sempre. Grazie a lui, ora il cielo è ancora più blu.

Arrivederci amico mio.

Ultima modifica: 18/06/2012 alle 20:08

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