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02/02/2012, 17:17

GRAN PREMIO D'ITALIA (parte seconda)

Arrivati all'autodromo ed essendoci già una marea di macchine, parcheggiammo nel modo più osceno possibile. In poche parole, le probabilità di multa salatissima con rimozione erano piuttosto elevate, ad occhio e croce il 105%. Scendemmo velocemente e ci sbrigammo a caricare in spalla tutto l'occorrente; cioè, viveri, vino, sacco a pelo e quant'altro. Sembravamo degli sherpa alla spedizione sul Nanga Parbat. Lasciammo la nostra 127 Turbo, che ancora si agitava ed aveva le portiere piegate per il frastuono prodotto dai Gun's and Roses, e ci dirigemmo verso l'entrata. C'era un sacco di gente, di ogni specie umana esistente sulla terra; noi, con il volume del nostro bagaglio simile a quello d'un emigrante italiano dei primi ‘900 diretto in America, non passammo certamente inosservati. Dopo un po’ che c'eravamo incamminati verso l'entrata, Ernesto ROCK n' ROLL annunciò serafico: “Ragazzi, sapete che quasi quasi faccio una cagata?” Quasi??? Con tutte le uova che aveva ingerito strada facendo, poteva concimare tutto lo stato del New Mexico. Andò che… detto... fatto!! In meno di un minuto si accovacciò dietro una Citroen XS e scaricò con fragore l'intestino... ma il fato era in agguato (scusate la rima). Il padrone del mezzo, un orrendo butterato sulla quarantina con tatuaggi di animali ancora vivi, era tornato alla macchina perché probabilmente aveva dimenticato qualcosa, e scorgendo Ernesto ancora accovacciato con la sua opera ancora fumante, stranamente si incazzò moltissimo. La scena seguente si svolse più o meno così: Ernesto con le braghe in mano che se la dava a gambe ed il tatuato che lo rincorreva, verde schiumante dalla rabbia, tanto da sembrare l'incredibile Hulk. L'inseguimento non durò molto perché, dopo 300 mt, in breve successione, al tatuato scoppiarono cuore, fegato, polmoni e milza, avendo mangiato e bevuto a pranzo probabilmente mezzo Autogrill. Ernesto, che era un tipo atletico, non si voltò mai, e continuò a correre per un bel po’, fermandosi dopo un paio di km. La notizia non fu mai confermata, ma sembrerebbe che nei primi 300 mt avesse avuto la stessa accelerazione di un Ferrari Daytona.

Il breve ma intenso fuori programma non fu un intoppo, anzi; perché andando in cerca dello sciagurato Ernesto, ci accorgemmo che un fiume in piena di persone si dirigeva da tutt'altra parte rispetto a dove era posta l'entrata. La domanda lecita era: “Come mai?” Incuriositi seguimmo il “popolo ebraico verso l'Egitto” e la risposta al nostro quesito arrivò puntuale poco dopo. Tutta quella gente passava attraverso un buco, enorme come l'Arco del Trionfo, eseguito con maestria orafa artigianale sulla recinzione dell'autodromo; ci bastò guardarci in faccia, ed eravamo già dentro in paradiso. In pista si svolgevano le prove per il Gran Premio del giorno dopo, ed il frastuono era enorme. Primo MS, appassionato folle di motori ma soprattutto di formula uno, si appiccicò con il naso alla rete della pista ed entrò in trance mistica. Fissava la pista come un pellegrino fissa il cielo a Medjugorje in attesa di una visione celestiale; non rivolse parola a nessuno e fumò in tre ore talmente tante sigarette che sopra di lui si formò una grossa nuvola che dava l’impressione che dovesse piovere da un momento all'altro. Dai box in pista, vedendo la nuvola, dettero ordini ai propri piloti di rientrare per montare le gomme da pioggia.

Venne sera abbastanza velocemente e stabilimmo che ci si poteva tranquillamente accampare in una delle tribune coperte del circuito; tale decisione, si rivelò in un futuro poco lontano, un vero suicidio. Trovato un posto che ci sembrava sicuro tirammo fuori dagli zaini ogni ben di Dio; ma come ben si sa, non tutto può sempre filare liscio come l'olio, ed il perché ora ve lo spiego. Per una spedizione, gli zaini devono essere riempiti con cura e non alla “cazzo di cane” tanto per capirci. Le uova per esempio, se le poni in fondo allo zaino, è ovvio che vengano maciullate e ridotte in poltiglia di uova strapazzate. Stesso discorso per i dolci; infilare nello zaino una crostata di marmellata di albicocche non adagiata ma bensì di taglio è sbagliato, molto sbagliato. Tino TREBBIA tirò fuori la crostata con aria raggiante, pregustandone il sapore... ma restò tramortito, Su di essa non c'era la minima traccia di marmellata; essa era infatti adagiata come il fango in una palude sul fondo del suo zaino. Dopo alcuni attimi di smarrimento, emise una sola ma convincente imprecazione, che però fu talmente rumorosa da essere udita perfino dal Pope dell'isola di Santorini in Grecia, il quale corse in chiesa, si stracciò le vesti, e prostratosi davanti all'altare ivi rimase per 7 giorni e 7 notti a digiuno, nel vano tentativo di ottenere perdono per tale blasfemia. Non ci perdemmo d'animo però, così mangiammo, e soprattutto bevemmo in abbondanza, lasciando ben poco per il giorno dopo, perché tutti eravamo convinti che… “Vuoi che non ci sia qualche chiosco che vende panini??” In effetti il giorno dopo purtroppo lo trovammo... ma andiamo con ordine. C' eravamo portati dietro (rubati!!) quelli che dovevano essere due salami, ma uno dei quali, come raccontato nella puntata precedente, era per sbaglio un cotechino, del quale il buon Ernesto si era accorto troppo tardi, a furto avvenuto nella cantina del padre. Tino però insisteva che essendo bello magro si poteva mangiare tranquillamente lo stesso; e così infatti facemmo, rasserenati dal fatto che nella nostra pur breve vita ne avevamo fatte di peggio. Adesso vi risparmierò tutti i vari commenti ad assaggio avvenuto (ben due fette a testa, perché della prima non eravamo troppo convinti) perché in effetti sembrava di mangiare del salame alle noci, ma alla fine il giudizio fu unanime: il cotechino crudo è una merda, credetemi!!

La sera passò veloce, eravamo ben attrezzati, così saltò fuori una moka ed un fornello, ma il sacchetto del caffè si era rovesciato in uno degli zaini (non dico di chi) e l'operazione recupero durò parecchio, così dovemmo ingannare l'attesa con il putrido Amaro della Val Brembana. La notte sopraggiunse in breve tempo, e dopo diverse partite a scopa con caterve di parole al compagno di turno quando sbagliava, verso mezzanotte srotolammo i sacchi a pelo sui gradini della tribuna Ascari, e ci accingemmo a prendere sonno. Dormimmo tra le braccia di Morfeo per poco più di mezz'ora, perché dopo si dev'essere rotto i marroni per il troppo peso e così ci scaricò. Fummo svegliati di soprassalto da una forte raffica di vento e da alcuni lampi all'orizzonte. “Tanto siamo al coperto…” pensammo subito, ed i lampi e il vento in continuo aumento non ci preoccuparono per niente. Dopo neanche 10 minuti, però, la situazione meteorologica precipitò drammaticamente; i lampi aumentarono al ritmo di dieci al secondo, praticamente sembrava mezzogiorno. Essendo il tetto della tribuna molto alto, la pioggia, simile ad un idrante dei pompieri, ci veniva addosso da tutti i lati possibili. Pioggia battente, vento simile ad un tornado e lampi a milioni: la tempesta perfetta, ovvero, il raduno nazionale di tutti i temporali d'Italia. L'inferno durò circa un ora, fece una pausa caffè, e riprese dopo neanche 10 minuti, più forte di prima, sembrava volesse riguadagnare il tempo perduto. Continuò così per quasi tutta la notte e smise solo verso le quattro; noi eravamo in condizioni pietose a dir poco: bagnati fino al midollo, infreddoliti e tremanti come naufraghi, i nostri zaini e sacchi a pelo zuppi come frollini nel caffellatte.

Cominciò ad albeggiare verso le sei e ai primi bagliori del mattino lo spettacolo che ci attorniava era apocalittico ad dir poco. Tende rovesciate, gente in mutande con una coperta sulle spalle, griglie allagate e cibarie galleggianti nell’acqua. Sembrava fosse passato uno tsunami, ma sembrava che il peggio fosse passato... Invece era dietro l'angolo. Il latrare di cani in lontananza non prometteva nulla di buono e dopo un po’ arrivò il castigo divino: arrivarono gli uomini della security dotati di unità cinofile, manganelli, anfibi e facce da cazzo. Non avevo mai visto in tutta la mia vita cani così enormi; sembravano mostri mitologici, ringhiavano perdendo bave a litri e mostrando denti che li facevano sembrare squali; per la paura ad un tratto a Tino parve che uno dei cani avesse due teste. Chiesero i biglietti a tutti gli occupanti della tribuna. Non avevamo niente che assomigliasse neanche lontanamente a quello che loro chiedevano. Così, molto “gentilmente”, fummo pregati di sgomberare le tribune senza tanti preamboli; ma per la fretta e non conoscendo affatto il luogo, dopo un breve vagare ci accorgemmo di essere finiti in un immenso e bellissimo campo da golf... ma fuori dalle mura dell'autodromo!! Tutto quello che avevamo passato era stato perciò inutile e per rientrare dovevamo per forza acquistare il biglietto d'entrata. Ci guardammo sgomenti e senza parole, ma dopo un po’ la rabbia proletaria cominciò a crescere dentro di noi come una marea, e cominciammo a guardare con fare torvo il campo da golf, a quei tempi simbolo borghese e frequentato da ricchi Commenda ed Industriali Panciuti della Brianza. Ci fu un breve ma intenso cenno d'intesa e come d'incanto a due del gruppo venne un certo movimento d'intestino, dovuto anche a tutto il freddo ed umido patito durante la notte; metteteci assieme delle uova sode, cotechino crudo, vino rosso ed Amaro della Val Brembana, mescolate, guarnite, ed il gioco è fatto. Dovemmo però tirare a sorte e ci fu una breve ma animata discussione tra i quattro cavalieri dell'Apocalisse, perché ognuno di noi voleva partecipare alla mascalzonata, ma ci serviva qualcuno di guardia. I due, di cui non dirò i nomi neanche sotto tortura, raggiunsero a grandi falcate il green, e mentre due di noi facevano il palo gli altri due fecero giustizia. Uno scelse la buca numero 11, in onore del famoso calciatore Gigi Riva soprannominato Rombo di Tuono; ed infatti il rumore durante l'operazione “scarico” era molto simile ad un tuono. L'altro compare scelse la buca 18 perché quel numero gli ricordava il compleanno dell’ex fidanzata che lo aveva mollato tenendosi l'anello di fidanzamento che gli era costato un botto: così pensò che fosse un pensiero con dedica alquanto carino.

Completata l'opera e ridendo come pazzi scappammo a gambe levate raggiungemmo la biglietteria, e pagando a quell'epoca 17 mila lire, entrammo per la SECONDA volta nel circuito di Monza. La mattina proseguì veloce, e, tanto per cambiare, prendemmo altra pioggia che, insieme a quella già presa durante la notte, completò l'opera distruttrice sia del fisico che del morale. Arrivammo a mezzogiorno stanchi, bagnati ed affamati; sembrava avessimo attraversato la giungla del Borneo a piedi durante il periodo delle piogge. Andammo a caccia di cibo come avvoltoi e ci facemmo rapinare da un venditore ambulante che vendeva di tutto, ma tutte cose dall'aspetto poco rassicurante; 4 panini in lattice e 4 birre a temperatura ambiente (Sahara meridionale) costavano così tanto da essere portati in giro con un furgone blindato. Scegliemmo 4 panini diversi ma quello alla cotoletta scelto da Ernesto li batteva tutti. Il panino era una spugna insaponata, la cotoletta della Timberland, e la foglia d'insalata nel mezzo un'alga marcita al sole d'Agosto. Ernesto volle sopra anche del Ketchup, o forse così sembrava; era in realtà una passata di pomodoro d'infima qualità e scaduta da almeno due anni. Finalmente alle 14 spaccate iniziò il Gran Premio e d'improvviso tutti i nostri guai passarono in secondo piano; Primo, che era il nostro esperto di motori, non capiva più niente. Al primo giro di pista cominciò a parlare con se stesso in antico aramaico, al terzo entrò in delirio mistico, al quinto giro comparvero le prime stimmate. La corsa filò via veloce e quell'anno vinse il sudafricano Jody Scheckter su Ferrari; quando gli altoparlanti dettero l'ordine d'arrivo, Primo esclamò: “Alla faccia di tutti i democristiani!!” Cosa intendesse non lo capimmo mai, e rimane un mistero ancora da scoprire.

Finito il tutto, guadagnammo veloci l'uscita, volendo evitare code e di rimanere imbottigliati; montammo in macchina veloci ma la macchina, essendo parcheggiata in un campo ed a causa delle abbondanti piogge, cominciò a pattinare e non si mosse d'un millimetro. Scendemmo e appoggiati al cofano cominciammo a spingere; nello stesso preciso istante, Ernesto ingranò la retromarcia, portò il motore turbo a novemila giri e staccò la frizione. Ora, è da sapersi, che la mitica 127 aveva la trazione anteriore, e noi eravamo attaccati al cofano intenti a spingere come forsennati; le ruote cominciarono a girare all'impazzata e di conseguenza ci vomitarono addosso una tonnellata di melma. La macchina uscì dal guado di fango... noi avevamo paltan dai capelli alle caviglie. Dietro però eravamo ancora asciutti: a vederci così assomigliavamo tanto ai biscotti Ringo. Ernesto disse “Voi così conciati nella mia macchina non c'entrate!” Tino rispose “Noi magari non saliamo, ma tu vai a casa in treno con le targhe sottobraccio perché faccio tanti di quei pezzi che la dovranno recuperare con l’aspirapolvere!” Chetati gli animi con le ultime sorsate del vino rimastoci, iniziammo la via di ritorno con il pensiero già volto al lunedì lavorativo. Ora, non vorrei soffermarmi su due o tre intoppi durante la via di ritorno, tipo l’aver sbagliato strada ed essere finiti sulla Milano-Lecco, e l’esser tornati indietro rimanendo imbottigliati in una coda da bollino nero; ma queste sono cose che succedono a tutti... più o meno. Nonostante ciò, arrivammo al bar del paese prima delle undici ed i nostri amici, che stavano ad aspettarci per sapere com'era andata, ci assalirono subito con mille domande. Gli anziani del paese vedendo come eravamo conciati noi e la 127, non credettero ad una sola parola e sentenziarono solenni: “Con la macchina così conciata e visto come sono ridotti loro, sono sicuramente andati prima a funghi in Cansiglio e poi a puttane sulla via di ritorno!” I ricordi di quest'avventura mi tennero compagnia per molti anni, anche se con l'andar del tempo qualche particolare svanisce. Ma la scena del campo da golf sarebbe rimasta impressa nella mia mente per molti anni a venire. Nella tua vita puoi barattare molte cose, magari imbrogliando te stesso; alle volte devi venire a patti con il tuo destino, altre sacrificare una cosa a cui tieni molto in cambio di un altra altrettanto importante. Io personalmente avrei venduto l'anima al diavolo pur di essere stato presente quando il Commenda brianzolo infilava incautamente la mano per recuperare la pallina caduta nella buca numero 11 e 18.

FINE

Ultima modifica: 02/02/2012 alle 18:20

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