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02/03/2012, 00:01

IRELAND'S CALL (part two)

 

Con rammarico apprendiamo che il terzo tempo non è stato organizzato a causa di una festa programmata all’interno del loro club, così la dirigenza opitergina si adopera per far arrivare qualche pizza agli animali famelici che hanno appena giocato. Al ritorno in albergo segue l’esplorazione notturna della città da parte di (quasi) tutta la compagnia dei Grifoni, con la raccomandazione ai minori di non farsi trovare con liquido alcolico in circolo nel sangue, a causa della durezza delle leggi irlandesi. In realtà la squadra si è comportata bene e non ha ecceduto in niente; diversamente invece si dovrebbe dire della parte dirigente, rimasta introvabile per ore: le fonti più accreditate sostengono che siano andati a vedere in notturna i monumenti della città. Il giorno dopo, sveglia tardi un po’ per tutti, anche per il nostro accompagnatore che avrebbe dovuto guidarci nella visita alla fabbrica Guinness, ma che è giunto alla nostra base in ritardo. La partita inizia all’una e mezza ora locale, non c’è tempo per andare fino alla fabbrica, al massimo una sbirciatina nei negozi del centro, che qualche materiale da rugby lo vendono. Partiamo in direzione Aviva Stadium alle 12.30, con cappelli cornuti e bandiere italiane svolazzanti, e diamo libero sfogo alle nostre voci, esibendoci lungo le vie di Dublino in canti goliardici salutati da qualche strombazzante automobile. La partita è nell’aria, man mano che ci avviciniamo notiamo sempre più magliette verdi irlandesi, fino a che nel raggio di 500 metri dall’Aviva Stadium non si vede che una marea verde di persone. L’Aviva, splendido e maestoso monumento al rugby di vetro e acciaio (un po’ ricorda l’Allianz Arena, per intenderci) è pronto ad accogliere tutta questa folla composta da migliaia di Irlandesi e qualche Italiano, che pacificamente si mettono a sedere fianco a fianco per vedere giocare (si spera) un buon rugby. Noi siamo in curva, addossati all’area di meta, in mezzo a una marea di Irlandesi; entrano in campo le nazionali, prima quella italiana e poi quella irlandese; dopo il saluto del presidente dell’Irlanda ai giocatori, si cantano gli inni. In verità il nostro è stato tagliato a metà: già siamo in pochi, e l’inno non dà la carica come di solito. Cosa del tutto diversa per gli inni irlandesi; come accennato prima, sono due: uno proprio della Repubblica d’Irlanda, l’altro proprio della nazionale irlandese. Il primo inno non è cantato da tutti, è in irlandese e non tutti lo conoscono; non fa un grande effetto. L’opposto accade con l’Ireland’s call: ogni bocca autoctona canta con quanta voce ha in corpo, sventolando le bandierine verdi, incitando i propri beniamini; cinquantamila voci irlandesi ora cantano qualcosa che unisce tutte loro, cantano per qualcosa che le unisce, cantano quest’inno che è la massima espressione di coesistenza nello sport fra due entità contrapposte. E l’Aviva, enorme catino pieno di gente, trabocca di suoni, di voci, di emozioni, di speranze. Di fronte a tutto ciò, se non hai abbastanza forza e numero per controbattere, è impossibile non ammirare stupefatti e un po’ impauriti quello che ti sta intorno. E’ incredibile: questi cinquantamila Irlandesi incitano alla battaglia il loro esercito sceso in campo contro lo straniero, pronto a versare sudore, sangue e lacrime per compiacere la folla…che guarda te, che ti senti piccolo di fronte a tale immensità; e ti sorride per un attimo, per poi concentrarsi sulla partita senza distogliere un occhio, senza più badarti, senza più considerarti. Perché? Perché non ti considera un nemico, perché non sei un avversario da maltrattare o insultare, sei solo un partigiano della tua squadra che per portare il tuo tifo ti sei sgobbato 10 ore di viaggio. Non ci sono barriere sul limite del campo, non ci sono divisioni di posti fra due tifoserie opposte: sei perfettamente amalgamato con il resto, perché tu sai che in fondo sei un rugbista, un rugby man, e lo è chiunque ti intorno. Barriere e divisioni non servono, ognuno è tuo fratello acquisito per vicinanza di mentalità. Questo è uno dei risultati del rugby, l’uguaglianza fra due poli diversi. Finita la partita, ci avviamo amareggiati verso le uscite e verso l’ostello; ci toccherà restare svegli fino alle due di notte del 26, quando partiremo per l’aeroporto di Dublino per volare verso Londra, e di qui, stanchi, spossati ma felici, verso casa.

Ultima modifica: 06/03/2012 alle 15:49

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